18 giugno 2019

18.6.19

La ciclabile del lungotevere: croce e delizia dei ciclisti urbani romani

Riceviamo e pubblichiamo delle interessanti considerazioni di Matteo ( @Matbarile ) a proposito di ciclabili sul lungotevere.


Un asse strategico fondamentale che attraversa Roma da nord a sud e consente di arrivare da porta Portese al Flaminio in 20 min. una vera autostrada per biciclette, senza semafori e incroci, impreziosita dalle impagabili visuali su isola Tiberina, Castel Sant'Angelo e Cupola di San Pietro è la ciclabile del lungotevere.


Ci si aspetterebbe dunque che venisse tenuta come un gioiellino, valorizzata e potenziata con servizi dedicati (aree sosta, rampe per la risalita, rastrelliere). Nulla di tutto ciò: chi prova a fare un giro sulla ciclabile ha subito la sensazione che sia una striscia di asfalto che qualche funzionario prodigo e illuminato ha fatto in modo di far stendere sulla banchina di sabauda memoria e che ora giace dimenticata. I 2 metri di asfalto vecchi e scoloriti sono da tempo abbandonati tra buche, canaline di scolo otturate, erbacce, cespugli incolti, detriti di vario genere e l'immancabile monnezza romanesca che ormai è un tratto distintivo della nostra città. 



Di inverno nel tardo pomeriggio capita di incrociare ratti di dimensioni feline che, approfittando del buio (spesso i lampioni sono spenti o malfunzionanti), attraversano impuniti la pista rendendo più adrenalinica la pedalata dell'ardito ciclista. Poi arrivano le piogge: il Tevere si ingrossa e straripa sulla pista.


Di solito l'esondazione dura qualche giorno, poi il fiume si riacquieta tranquillo nell'alveo e la pista torna all'asciutto....beh, proprio all'asciutto no: nei tratti in cui l'acqua scorre più lenta (nelle anse o nel tratto prima dell'Isola tiberina) si depositano strati di fanghiglia spessi fino a 30 cm che consentono il passaggio solo a costo ritrovarsi incollati blocchi di fango su ruote, parafanghi e scarpe.


Negli ultimi due anni i ciclisti hanno dovuto aspettare dalle 3 alle 4 settimane per vedere una rimozione (parziale) del fango. Ma non sono solo monnezza ed esondazioni a ostacolare l'uso della pista: ci pensa l'amministrazione capitolina, con la connivenza di quella regionale, a far invadere  il nostro amato percorso ciclabile da bancarelle di bassa qualità in cui si spaccia il "magnà e beve" che anche gli stornelli associano impietosamente alla nostra città.


Il tutto a spese dei ciclisti che da giugno a settembre sono costretti a ritornare in strada visto che tutto sommato è meno pericoloso il traffico urbano dello zig zag e stop&go tra pedoni, famigliole distratte,  furgoncini, bidoni dell'immondizia, cavi elettrici con relativi dossi, operai e quant'altro necessario alla vendita di   birre e hot dog.


Ma chi si deve ringraziare per una "gestione" così disgraziata?

Il comune ha la responsabilità della manutenzione della pista (pulizia, sistemazione asfalto e verde limitrofo) mentre la Regione ha la responsabilità delle banchine: responsabilità spezzettate che trovano coerenza e approccio unitario nell'assenza di visione e progettazione.  È un chiaro esempio della cialtroneria bipartisan comune-Regione che tanti danni sta facendo al territorio di Roma (vedasi la scellerata gestione delle ferrovie concesse!).



Insomma, la sensazione di abbandono che si prova passando lungo l'argine del tevere rispecchia lo stato effettivo delle cose e rende questo percorso ciclabile pienamente rappresentativo della nostra città: una promessa mancata!

Sta a noi non rassegnarci e riappropriarci dei beni che ci appartengono!

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