Diciamoci la verità: noi italiani siamo molto più anglofoni di qualsiasi altro nostro cugino europeo e come diretta conseguenza il nostro linguaggio è costellato sempre più da termini inglesi spesso italianizzati. E' una tradizione iniziata da diversi decenni, basti pensare alla parola Computer che invece in Spagna è tradotta con Ordenador. Una tradizione che continua ogni giorno con nuove entrate (avremmo potuto scrivere new entries, e avreste capito uguali). Sì, ma quante sono queste nuove entrate? Ecco allora per voi la proposta di un saggio che quantifica l'invasione degli anglicismi negli ultimi 30 anni: Antonio Zoppetti e il suo Diciamolo in italiano. Di seguito una breve introduzione al libro.
Nell'era del web e di internet, le parole inglesi si insinuano sempre
più nella nostra lingua senza adattamenti e senza alternative. Spesso
rendono gli equivalenti italiani obsoleti e inutilizzabili, cambiando e
stravolgendo il nostro parlare in ogni settore. La politica è infarcita
di tax, jobs act, spending review e di inutili anglicismi che penetrano
persino nel linguaggio istituzionale (welfare, privacy, premier) e
giuridico (mobbing, stalking) amplificati dai mezzi di comunicazione. Il
mondo del lavoro è ormai fatto solo di promoter, sales manager e buyer,
quello della formazione di master e di tutor, e tutti i giorni dobbiamo
fare i conti con il customer care, gli help center o le limited edition
delle offerte promozionali. Il risultato è che mancano le parole per
dirlo in italiano. Questo saggio, divulgativo ma al tempo stesso
rigoroso, fa per la prima volta il punto su quanto è accaduto negli
ultimi 30 anni: numeri alla mano, gli anglicismi sono più che
raddoppiati, la loro frequenza d'uso è aumentata e stanno penetrando
profondamente nel linguaggio comune. Il rischio di parlare l'itanglese è
sempre più concreto, soprattutto perché, stando ai principali
dizionari, dal 2000 in poi i neologismi sono per quasi la metà inglesi.
Finita l'epoca del purismo, la nuova prospettiva è il rapporto tra
locale e globale: dobbiamo evitare che l'italiano si contamini e diventi
un dialetto d'Europa, dobbiamo difendere il nostro patrimonio
linguistico esattamente come proteggiamo l'eccellenza della nostra
gastronomia e degli altri prodotti culturali.