21 settembre 2017

21.9.17

La crema catalana.


Dedichiamo questa puntata speciale ad un tema d'attualità che non riguarda il trasporto, non riguarda Roma ma in un certo senso riguarda tutti noi: la catalogna.

Cos'è la catalogna? E' quella regione spagnola dove c'è Barcellona, la meta di turisti italiani in cerca di emozioni forti e divertimento che hanno preferito la terraferma, la Costa Brava all'alternativa Ibiza. Per gli appassionati di calcio la catalogna è il futbol club Barcelona, per una grossa fetta del pubblico è solo un pezzo di Spagna: paella, corride, flamenco e il catalano è un dialetto dello spagnolo. Avete appena letto una sfilza di falsi luoghi comuni, paragonabili a quelli che catalogano l'italiano all'estero come 'pizza e mandolino' o 'cocco di mamma'.


La catalogna è una regione della Spagna molto ricca di risorse economiche (agricoltura, industria, turismo), paragonabile per certi versi alla situazione economica della nostra pianura padana. Geograficamente è un triangolo che comprende il tratto di costa più settentrionale del mar Mediterraneo, e un tratto dei monti Pirenei, la catena montuosa che divide Spagna da Francia. Fin qui la geografia e l'economia. 

Adesso passiamo all'attualità cercando di eliminare la patina di luoghi comuni che i giornali negli ultimi giorni hanno messo su.

Il riassunto di quello che sta accadendo in una parola è INDIPENZA, ma la storia che sta dietro è molto più lunga e travagliata e le ragioni non sono solo storiche e culturali, ma soprattutto economiche. Cercheremo di sintetizzare, tentando dei paragoni con il nostrano e di arrivare alla fine ad una morale delle favola molto più importante di quel che si pensi. Faremo insomma il lavoro che  non riuscirebbe a fare un giornalista-turista che va a passare le vacanze a Barcellona e che non ha mai vissuto la quotidianità di quel paese insieme a parenti/conoscenti.


A differenza della nostra 'padania', fatta da Sabaudi (piemonte), Svizzeri (lombardia), Sud tirolesi (trentino) e veneziani, la catalogna ha una sua identità culturale unica, una lingua (che NON è come lo spagnolo e NON è neanche un dialetto). Catalunya is not Spain, proprio come la Sardegna non è Italia. Esiste una cultura fatta di tradizioni molto lontane dal 'tipico spagnolo': le corride sono state bandite da anni, si mangia fideuà, crema catalana e molti altri gustosissimi piatti di cui il turista medio ignora l'esistenza, non ballano flamenco ma sardanas, un complicato ballo di gruppo fatto in cerchio, durante alcune feste fanno delle torri umane che arrivano al terzo/quarto piano di un palazzo, in altre portano a spasso dei 'giganti'...insomma, un mondo che ha veramente poco in comune con il concetto di Spagna. 

La parte che riguarda potere economico e tasse mandate a Madrid e riassumibile con il motto leghista di 'Roma ladrona', con la fondamentale differenza che coloro che vogliono andare via dalla Spagna non sono 4 gatti multicultura privi di istruzione universitaria come il 'Salvini e Bossi' de noantri, ma un consistente numero di persone di tutte le estrazioni sociali, dal contadino, all'operaio, al professionista affermato, all'industriale. E sempre per (non) fare il paragone con i 4 secessionisti padani, gli indipendentisti costituiscono una (grossa) minoranza all'opposizione nel parlamento statale e sono al potere a livello regionale.


La guerra a cui stiamo assistendo in questi ultimi giorni è dunque tra il potere centrale spagnolo, attualmente di destra, intransigente e un po' troppo sordo alle richieste delle minoranze e i movimenti per l'indipendenza che da anni stanno cercando di portare la catalogna al referendum. Ci avevano provato già qualche anno fa (aveva vinto il sì/sì con alcuni brogli e situazioni poco chiare), ci provano di nuovo il primo di ottobre di quest'anno.

Il problema 'referendum' però è il referendum stesso che per essere riconosciuto deve seguire un iter burocratico. Un po' come accade ai nostri referendum abrogativi con raccolta di firme e decisione della cassazione, deve essere sottoposto ad approvazione da un organo istituzionale che è la consulta.

E indovinate un po'?

La consulta ha detto di no al referendum del primo ottobre, così come aveva espresso parere negativo per il precedente. Ma gli indipendentisti (non tutti i catalani lo sono, ed è giusto precisarlo per evitare di creare l'ennesimo luogo comune!) hanno deciso di andare avanti e proseguire fino alla celebrazione di quello che poteva essere l'ennesima evento pacifico e di costume di un popolo che ha delle profonde differenze dal resto di Spagna.


Il cortocircuito tra governo centrale e regionale, che ha portato agli arresti di alte cariche del governo catalano e alle numerose perquisizioni e sequestri di materiale elettorale da parte della polizia (nazionale) di ieri, nasce dal fatto che sono stati spesi soldi pubblici per mettere in piedi un referendum che secondo la legge non può essere celebrato. Se vogliamo parlare la lingua del codice penale italiano siamo di fronte a falso e abuso d'atti d'ufficio, distrazione di fondi pubblici e probabilmente anche al peculato.


Se sia giusto o meno l'arresto o il sequestro del materiale elettorale a questo punto poco conta: gli indipendentisti di fronte all'atteggiamento duro del governo centrale l'hanno buttata in caciara, come si dice qui a Roma, e sono scesi in piazza a manifestare per il negato diritto alla libertà e la situazione è destinata a peggiorare a meno che il presidente del governo Rajoy (che probabilmente aspira a diventare il Trump iberico) non cambi atteggiamento e linea politica.

Chi ha ragione dunque?
Il governo centrale? Gli indipendentisti?

La realtà è che entrambe le parti hanno forzato un po' troppo la mano, da un lato contravvenendo alla legge, dall'altro applicando un po troppo alla lettera la legge negando negoziati politici che avrebbero potuto portare a una maggiore autonomia per la regione e ad una soluzione più pacifica e decorosa.

In tutto questo marasma chi resta puntualmente fregato (e questo i giornali impegnati a scrivere catalogna si/catalogna no non lo raccontano), è la gente comune che ogni mattina si spezza la schiena per portare la pagnotta a casa, che paga le tasse e che riceve sempre meno servizi dallo stato.

"Ma perchè Attacchete ci stai a raccontare questo?" - vi starete chiedendo.

Perchè, come detto all'inizio, la morale della favola dei nostri 'cugini' catalani è un po' anche la 'nostra' morale della favola: spesso la politica si nasconde dietro campagne pubblicitarie assurde e inutili sottraendo denaro che potrebbe essere utilizzato per fini più nobili come sanità, istruzione, cultura e sicurezza.


I soldi del referendum catalano sono ormai andati persi e altri ne verranno spesi inutilmente per tentare di portare a termine un 'referendum-farsa'. Nel frattempo la 'televisione di stato' della catalogna (uno dei media più potenti in termini di identità e cultura di un popolo) ha smesso ormai da diversi anni di trasmettere via satellite dandosi allo streaming su internet (troppo sofisticato e inaccessibile per alcune persone), la situazione negli ospedali catalani continua a peggiorare, le condizioni di lavoro degli insegnanti nelle scuole diventano sempre più dure, etc. 

Insomma, se non fosse per il fatto che stiamo parlando della Catalogna, il quadretto appena dipinto sarebbe tutto italiano.

Meditate gente, meditate!

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