21 dicembre 2018

21.12.18

Concordato ATAC: la stretta finale!

L'altro ieri si è tenuta la prima assemblea di tutti coloro a cui ATAC deve dei soldi: è dunque iniziata la fase piú importante del piano di salvataggio di ATAC



Ma vediamo anzitutto di capire il significato di questa assemblea e di tutte quelle che si terranno fino al 9 di gennaio: 1200 creditori di atac (che rientrano nel piano di concordato preventivo fallimentare) sono chiamati a votare e a decidere le sorti di atac oltre che del piano di salvataggio stesso.


Votare sì di fatto significa accettare un compenso inferiore al dovuto in tempi relativamente brevi (entro il 2019 i creditori privilegiati e entro il 2022 il 30% dei restanti creditori 'chirografari'), di credere in ATAC e di permetterle di non chiudere i battenti causa fallimento.

Votare no significa invece amministrazione controllata per ATAC, la nomina di un commissario fallimentare che dovrà cercare di vendere il vendibile dell'azienda per rimborsare tutti i debiti.


Dai risultati della votazione poi si vedrà se i giudici di piazzale Clodio vedranno se sarà il caso di far naufragare i sogni dell'amministratore delegato di ATAC, Paolo Simioni, e del relativo progetto di risanamento della giunta pentastellata. Attualmente tutti si dichiarano ottimisti ma la lista (e la partita) è lunga.


Tra chi non è ammesso al voto ci siamo tutti noi cittadini romani: sebbene il comune di Roma sia uno dei creditori piú importanti nei confronti di ATAC, la giunta pentastellata ha deciso di mettere in coda il Comune di Roma. Ma non siamo solo noi gli esclusi: ci sono anche tutti coloro che non hanno mai ricevuto il rimborso dei biglietti e dei soldi che qualche macchinetta automatica mezza rotta in giro nella capitale ha trattenuto; per loro la proposta di ATAC di metterli in coda come il comune di Roma è stata accettata dai giudici.


Ma andiamo a conoscere alcuni dei creditori chiamati al voto, grazie ad un articolo di Ilaria Sacchettoni del corriere della sera, edizione romana, che è andata alla prima riunione a vedere che aria tira.

C'è il piccolo proprietario del Bar Lepanto dove i dipendenti Atac hanno consumato (senza pagare) caffè per 989mila euro, c'è Unicredit a cui ATAC deve decine di milioni di euro, c'è l'Ansaldo in attesa di 3 milioni e 600mila euro, ma c'è anche il pennellificio Bagnoli che deve avere 198 euro. Ci sono poi enti locali, la Regione Lazio, aziende come Trenitalia e Cotral che costituiscono il famoso consorzio Metrebus a cui ATAC deve parecchi soldi.


Una lista variegata: consulenti, operai, autisti, pasticceri, imprese di software, cartolerie, vigilantes, pubblicitari, garagisti, manutentori. Euro dopo euro verranno passati in rassegna tutti: grandi e piccoli imprenditori, rappresentanti di piccole imprese e legali di grandi aziende come ad esempio Telecom Italia a cui ATAC deve qualcosa come 8 milioni di euro.

Tutti verranno  interpellati e a tutti verrà chiesto di dar fiducia ad una azienda che, dicono, sia cambiata. Nel frattempo c'è chi si è visto costretto a licenziare personale a causa dei troppi debiti e chi è stato salvato dal fallimento grazie a generosi soci stranieri. La maggior parte degli intervistati è propensa per votare si, accettare cioè il male minore e recuperare rapidamente i soldi. C'è chi è propenso per l'astensione ma anche chi ha annunciato di votare no perchè pensa che l'operazione concordato sia una grande presa in giro e che in ATAC sostanzialmente non è cambiato nulla.


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