Riceviamo e pubblichiamo delle interessanti considerazioni di Matteo ( @Matbarile ) a proposito di ciclabili sul lungotevere.
Un asse strategico fondamentale che attraversa Roma da nord a sud e consente di arrivare da porta Portese al Flaminio in 20 min. una vera autostrada per biciclette, senza semafori e incroci, impreziosita dalle impagabili visuali su isola Tiberina, Castel Sant'Angelo e Cupola di San Pietro è la ciclabile del lungotevere.
Ci si aspetterebbe dunque che venisse tenuta come un gioiellino, valorizzata e potenziata con servizi dedicati (aree sosta, rampe per la risalita, rastrelliere). Nulla di tutto ciò: chi prova a fare un giro sulla ciclabile ha subito la sensazione che sia una striscia di asfalto che qualche funzionario prodigo e illuminato ha fatto in modo di far stendere sulla banchina di sabauda memoria e che ora giace dimenticata. I 2 metri di asfalto vecchi e scoloriti sono da tempo abbandonati tra buche, canaline di scolo otturate, erbacce, cespugli incolti, detriti di vario genere e l'immancabile monnezza romanesca che ormai è un tratto distintivo della nostra città.
Di inverno nel tardo pomeriggio capita di incrociare ratti di dimensioni feline che, approfittando del buio (spesso i lampioni sono spenti o malfunzionanti), attraversano impuniti la pista rendendo più adrenalinica la pedalata dell'ardito ciclista. Poi arrivano le piogge: il Tevere si ingrossa e straripa sulla pista.
Di solito l'esondazione dura qualche giorno, poi il fiume si riacquieta tranquillo nell'alveo e la pista torna all'asciutto....beh, proprio all'asciutto no: nei tratti in cui l'acqua scorre più lenta (nelle anse o nel tratto prima dell'Isola tiberina) si depositano strati di fanghiglia spessi fino a 30 cm che consentono il passaggio solo a costo ritrovarsi incollati blocchi di fango su ruote, parafanghi e scarpe.
Di solito l'esondazione dura qualche giorno, poi il fiume si riacquieta tranquillo nell'alveo e la pista torna all'asciutto....beh, proprio all'asciutto no: nei tratti in cui l'acqua scorre più lenta (nelle anse o nel tratto prima dell'Isola tiberina) si depositano strati di fanghiglia spessi fino a 30 cm che consentono il passaggio solo a costo ritrovarsi incollati blocchi di fango su ruote, parafanghi e scarpe.
Negli ultimi due anni i ciclisti hanno dovuto aspettare dalle 3 alle 4 settimane per vedere una rimozione (parziale) del fango. Ma non sono solo monnezza ed esondazioni a ostacolare l'uso della pista: ci pensa l'amministrazione capitolina, con la connivenza di quella regionale, a far invadere il nostro amato percorso ciclabile da bancarelle di bassa qualità in cui si spaccia il "magnà e beve" che anche gli stornelli associano impietosamente alla nostra città.
Il tutto a spese dei ciclisti che da giugno a settembre sono costretti a ritornare in strada visto che tutto sommato è meno pericoloso il traffico urbano dello zig zag e stop&go tra pedoni, famigliole distratte, furgoncini, bidoni dell'immondizia, cavi elettrici con relativi dossi, operai e quant'altro necessario alla vendita di birre e hot dog.
Il tutto a spese dei ciclisti che da giugno a settembre sono costretti a ritornare in strada visto che tutto sommato è meno pericoloso il traffico urbano dello zig zag e stop&go tra pedoni, famigliole distratte, furgoncini, bidoni dell'immondizia, cavi elettrici con relativi dossi, operai e quant'altro necessario alla vendita di birre e hot dog.
Ma chi si deve ringraziare per una "gestione" così disgraziata?
Il comune ha la responsabilità della manutenzione della pista (pulizia, sistemazione asfalto e verde limitrofo) mentre la Regione ha la responsabilità delle banchine: responsabilità spezzettate che trovano coerenza e approccio unitario nell'assenza di visione e progettazione. È un chiaro esempio della cialtroneria bipartisan comune-Regione che tanti danni sta facendo al territorio di Roma (vedasi la scellerata gestione delle ferrovie concesse!).
Sta a noi non rassegnarci e riappropriarci dei beni che ci appartengono!